Penso che, come esseri umani dotati di intelligenza, uno degli strumenti più decisivi che abbiamo a disposizione sia l'arte di COMUNICARE.
Sembra un concetto banale, ma non lo è affatto, specialmente se cucito addosso a certe persone o connesso a determinati ambiti.
Viviamo in un mondo interconnesso e in cui le comunicazioni sono portate al livelli iperbolici con tutti questi social specializzati nell'arte del "comunicare". O almeno questo è ciò che sembra ad uno sguardo superficiale e poco attento.
In realtà comunicare è instaurare un dialogo con qualcuno, possibilmente profondo e di apertura, in cui mettiamo a disposizione il nostro punto di vista, che spesso e volentieri si confronta ed interagisce con il punto di vista altrui.
Essere aperti nel dialogo non vuol dire subire posizioni e punti di vista diversi dal nostro, sicuramente non significa imporre o farci imporre modalità che non condividiamo, ma vuol dire provare a trovare punti di connessione, avere la volontà almeno di valutare se ne esistono, e provare a stabilire un ponte anche tra diverse prospettive, cercare di andarsi incontro e mediare.
Per parte della mia vita questo concetto non mi è stato affatto chiaro e non mi sono mai nemmeno posta il quesito: nell'approcciarmi all'altro valeva solo il mio parere, che difendevo con energia, a volte anche troppa, e non c'era spazio per il punto focale di chi mi stava di fronte. Quando si è immersi in questa modalità, sembra normale il fatto di non valutare altre possibilità, si ascolta solo la nostra voce che sembra l'unica vera e possibile, non ci si accorge che da soli facciamo due cose contemporaneamente: poniamo il quesito e anche la risposta ad esso, rapportandoci solo a noi stessi, o meglio al nostro IO, che vuole e pretende sempre più spazio e attenzione. Non mi sento di giudicare questo modo di fare, semplicemente perché la persona non se ne rende conto, è scontato che l'altro si debba adeguare, punto e chiuso.
Dal momento che per anni ho provato questa cosa, perché come ho detto io stessa mi sono trovata chiusa nel mio testardo e tenace proposito di sottolineare solo il mio punto di vista, mi rendo perfettamente conto di quando questo succede in chi ho di fronte. L'ho provato prima sulla mia pelle, quindi è strada conosciuta, per così dire.
Mi è capitato infatti anche di subire modalità di questo tipo e, al di là della sofferenza, che è forse l'ultimo problema, è difficile entrare in connessione con chi, dall'altra parte, non accetta di vedere colori intermedi nella vasta scala cromatica a nostra disposizione (la devo sempre vedere in modo artistico la cosa!), è impossibile creare un dialogo, c'è solo un muro invalicabile che non permette passaggi osmotici, che fa sì che tutto si disintegri nell'estrema attestazione del proprio individualismo e del proprio egocentrismo.
Ci deve essere però un momento di svolta che permette di superare questo soggettivismo estremo: per quanto mi riguarda l'avvicinarmi alla fede mi ha permesso, molto lentamente e poco per volta, di aprirmi alle altrui possibilità, di accogliere ciò che c'è di diverso nel mondo oltre ME STESSA, la capacità di accettare e amare qualcuno che la pensa anche in modo diametralmente opposto da me, l'avere a disposizione una scala infinita di tonalità che ci permettono di differenziarci in tanti registri differenti. E allora si potrà riuscire anche ad instaurare quel dialogo, quel ponte e quella connessione che prima si negava ostinatamente, si potrà riuscire a togliere il famoso prosciutto dagli occhi per poter apprezzare orizzonti che da soli non potevamo nemmeno immaginare. E' molto bello quando avviene questa trasformazione: è lenta e graduale e, mentre è in atto, credo che non ne siamo pienamente coscienti, poi però arriva un momento in cui si legge la storia all'indietro e tutto si rischiara come d'improvviso.
Come è stato possibile essere stati tanto ottusi? Dove ci siamo fermati? Cosa ha bloccato la nostra apertura verso il mondo circostante?
E' un passaggio fondamentale della vita, credo: quello in cui svalichiamo la prepotenza dell'ego che vorrebbe solo imporsi senza ascoltare nessuno, che non permette di dare spiegazioni a nessuno, che impedisce alle nostre profondità di emergere in tutta la loro naturale bellezza.
Chi impone il suo punto di vista senza ascoltare quello altrui ha una grande fragilità di fondo, una debolezza che si dà forza attraverso la prepotenza estrema, ma non si può fare della prepotenza il nostro credo, spesso venendo meno ai credo che andiamo professando, i quali ci vorrebbero tutti aperti e accoglienti.
Se ci rapportiamo solo con noi stessi, soltanto tra il ME e il ME, non andremo mai oltre il palmo del nostro naso.
E' un lavoro impegnativo da fare su noi stessi, ma molto bello e appagante.
Perché una volta superato il nodo, sia aprirà un mondo fatto di profonda umanità.
Sembra un concetto banale, ma non lo è affatto, specialmente se cucito addosso a certe persone o connesso a determinati ambiti.
Viviamo in un mondo interconnesso e in cui le comunicazioni sono portate al livelli iperbolici con tutti questi social specializzati nell'arte del "comunicare". O almeno questo è ciò che sembra ad uno sguardo superficiale e poco attento.
In realtà comunicare è instaurare un dialogo con qualcuno, possibilmente profondo e di apertura, in cui mettiamo a disposizione il nostro punto di vista, che spesso e volentieri si confronta ed interagisce con il punto di vista altrui.
Essere aperti nel dialogo non vuol dire subire posizioni e punti di vista diversi dal nostro, sicuramente non significa imporre o farci imporre modalità che non condividiamo, ma vuol dire provare a trovare punti di connessione, avere la volontà almeno di valutare se ne esistono, e provare a stabilire un ponte anche tra diverse prospettive, cercare di andarsi incontro e mediare.
Per parte della mia vita questo concetto non mi è stato affatto chiaro e non mi sono mai nemmeno posta il quesito: nell'approcciarmi all'altro valeva solo il mio parere, che difendevo con energia, a volte anche troppa, e non c'era spazio per il punto focale di chi mi stava di fronte. Quando si è immersi in questa modalità, sembra normale il fatto di non valutare altre possibilità, si ascolta solo la nostra voce che sembra l'unica vera e possibile, non ci si accorge che da soli facciamo due cose contemporaneamente: poniamo il quesito e anche la risposta ad esso, rapportandoci solo a noi stessi, o meglio al nostro IO, che vuole e pretende sempre più spazio e attenzione. Non mi sento di giudicare questo modo di fare, semplicemente perché la persona non se ne rende conto, è scontato che l'altro si debba adeguare, punto e chiuso.
Dal momento che per anni ho provato questa cosa, perché come ho detto io stessa mi sono trovata chiusa nel mio testardo e tenace proposito di sottolineare solo il mio punto di vista, mi rendo perfettamente conto di quando questo succede in chi ho di fronte. L'ho provato prima sulla mia pelle, quindi è strada conosciuta, per così dire.
Mi è capitato infatti anche di subire modalità di questo tipo e, al di là della sofferenza, che è forse l'ultimo problema, è difficile entrare in connessione con chi, dall'altra parte, non accetta di vedere colori intermedi nella vasta scala cromatica a nostra disposizione (la devo sempre vedere in modo artistico la cosa!), è impossibile creare un dialogo, c'è solo un muro invalicabile che non permette passaggi osmotici, che fa sì che tutto si disintegri nell'estrema attestazione del proprio individualismo e del proprio egocentrismo.
Ci deve essere però un momento di svolta che permette di superare questo soggettivismo estremo: per quanto mi riguarda l'avvicinarmi alla fede mi ha permesso, molto lentamente e poco per volta, di aprirmi alle altrui possibilità, di accogliere ciò che c'è di diverso nel mondo oltre ME STESSA, la capacità di accettare e amare qualcuno che la pensa anche in modo diametralmente opposto da me, l'avere a disposizione una scala infinita di tonalità che ci permettono di differenziarci in tanti registri differenti. E allora si potrà riuscire anche ad instaurare quel dialogo, quel ponte e quella connessione che prima si negava ostinatamente, si potrà riuscire a togliere il famoso prosciutto dagli occhi per poter apprezzare orizzonti che da soli non potevamo nemmeno immaginare. E' molto bello quando avviene questa trasformazione: è lenta e graduale e, mentre è in atto, credo che non ne siamo pienamente coscienti, poi però arriva un momento in cui si legge la storia all'indietro e tutto si rischiara come d'improvviso.
Come è stato possibile essere stati tanto ottusi? Dove ci siamo fermati? Cosa ha bloccato la nostra apertura verso il mondo circostante?
E' un passaggio fondamentale della vita, credo: quello in cui svalichiamo la prepotenza dell'ego che vorrebbe solo imporsi senza ascoltare nessuno, che non permette di dare spiegazioni a nessuno, che impedisce alle nostre profondità di emergere in tutta la loro naturale bellezza.
Chi impone il suo punto di vista senza ascoltare quello altrui ha una grande fragilità di fondo, una debolezza che si dà forza attraverso la prepotenza estrema, ma non si può fare della prepotenza il nostro credo, spesso venendo meno ai credo che andiamo professando, i quali ci vorrebbero tutti aperti e accoglienti.
Se ci rapportiamo solo con noi stessi, soltanto tra il ME e il ME, non andremo mai oltre il palmo del nostro naso.
E' un lavoro impegnativo da fare su noi stessi, ma molto bello e appagante.
Perché una volta superato il nodo, sia aprirà un mondo fatto di profonda umanità.